Guerra in Ucraina
Concimare i campi di pace.
L’attacco di Vladimir Putin all’Ucraina restituisce un’orribile visione di eventi creduti non ripetibili in Europa. Molte guerre poi si svolgono già ovunque a livello planetario.
Ho letto molte analisi e riflessioni al riguardo.
E mi sono soffermata su quanto ha detto Tonio dell’Olio in questi giorni: “E se invece di continuare a rivolgere appelli, inviti e suppliche a Putin ci rivolgessimo alla popolazione della Russia? …La gente non vuole la guerra.
Tace perché sa che le mafie del potere usano la violenza anche per reprimere il dissenso. Ma quale poliziotto alzerebbe un manganello, lancerebbe un lacrimogeno, azionerebbe un idrante, sparerebbe un colpo contro sua madre che manifesta per la pace? E allora incoraggiamo i russi a unirsi a chi la guerra, in queste ore, la sente sui tetti di casa, per le strade e negli ospedali bombardati. La storia e la vita non celebrano l’omertà ma il coraggio di affermare la pace“.
E li abbiamo visti, in effetti, i russi manifestare contro la guerra a San Pietroburgo e a Mosca, sebbene partecipare a queste manifestazioni sia dichiarato illegale e le autorità abbiano fermato oltre 4000 persone.
Mi sono allora ritornate alla mente le storie della guerra che mio padre ci raccontava sin da quando eravamo bambini, storie che non ci stancavamo mai di sentir ripetere.
Il bombardamento della sua casa a Viterbo a opera degli Alleati, i suoi tentativi di recuperare la farina rimasta tra le macerie caricando i sacchi integri in una carriola da muratore per portarli nella casa della nonna Nena dove la sua famiglia era sfollata, in campagna; i compiti scritti al lume di una candela di sego, perché di cera non era possibile averne. E poi, il lungo tragitto per andare a scuola, credo almeno otto chilometri, e la mungitura che aveva imparato a eseguire nella stalla dove erano le mucche. Era molto orgoglioso di saper mungere, ne parlava come di un’abilità non facile da raggiungere.
Il ricordo più intenso è quello dell’incontro con il soldato tedesco.
I tedeschi avevano requisito anche la fattoria della nonna Nena e un soldato era stato lasciato lì in permanenza. Dormiva nel fienile dove papà, allora quindicenne, andava a portargli da mangiare. Non so come siano stati mossi i primi passi, ma mio padre ci diceva che, poiché nessuno dei due capiva la lingua dell’altro, avevano cominciato a parlare in latino! Così si erano fatti un po’ di chiacchiere, tra gesti e latinorum, e il soldato raccontava della sua città e della sua famiglia. Gli aveva fatto vedere la foto della moglie e dei due figli, che portava insieme al tesserino di riconoscimento.
Ricordo che mio padre s’inteneriva a questo ricordo, forse perché il nemico era diventato uno come lui, che non voleva la guerra, voleva tornare a casa e abbracciare i suoi cari.
Questa metamorfosi dello straniero che non è nemico, nemmeno quando formalmente lo è, deve essere stata per lui straordinaria. Bastava questo racconto a trasmetterci molte cose non espresse.
L’idea che tra tutti gli esseri umani ci sia sempre qualcosa in comune se si ha il coraggio e la pazienza di cercare e che ogni persona ha bisogni e desideri simili ai nostri, anche quando ha un’uniforme diversa.
E oggi, quanti soldati hanno con sé le foto dei propri cari e quanti civili hanno la foto del familiare in arme?
Perché continuare a morire e a uccidere per i giochi di potere di altri?
Scrive don Ciotti: “Esiste un rapporto di forze che non è fra gli eserciti schierati, ma fra chi ha il potere della forza e chi, solo, speranza di giustizia. Chi è in condizione di decidere e chi no’’ (https://lavialibera.it). I potenti dichiarano guerra ai loro stessi popoli.
Sappiamo che la pace è una pratica e si costruisce a partire dalla consapevolezza che in noi stessi esistono i semi di guerra, come avvertiva il monaco vietnamita da poco scomparso, Thich Nath Hanh.
Esistono, però, anche i semi di pace che possono fiorire nel rapporto con l’altro. Scrive ancora don Ciotti: ”Una società attraversata dalla competizione e dai conflitti sarà sempre terreno fertile per la guerra. Ma se impariamo a praticare l’ascolto, il confronto, il riconoscimento anche nei riguardi di chi ci appare meno simile e “conforme”, concimeremo campi di pace’’.
Negli anni dei ricordi, specie da quando mio padre se ne è andato, ho spesso immaginato il soldato tedesco di cui lui mi parlava, la foto in bianco e nero di sua moglie e dei figli, il dialogo buffo tra il militare e il ragazzo, fatto di gesti e di parole sconosciute e mimate.
Oggi, in tempi di guerra, ho pensato a quel ricordo come concime buono per i campi di pace.